INUTILI CORPI - Dalla fine del conflitto nascerebbe qualcosa di molto diverso dal sogno: gli ebrei vittoriosi vivrebbero circondati da una popolazione araba, rinchiusi dentro specifici confini e costantemente minacciati, così preoccupati della loro autodifesa ed incolumità da perdere ogni altro interesse fino ad abbandonare ogni altra attività. Inutile, gridare noi siamo gingilli svuotati che pur volendo ricominciare orami siamo corpi effimeri che vivono a modo proprio cascati e bruciati, disillusi ì, falciati o calpestati per porre obbligati interrogativi sul perpetuare della vita. Questa prospettiva, che prima di tutto è come un incubo è oggi sotto gli occhi di tutti. Difatti, il trauma del 7 ottobre sembra avere paralizzato le coscienze e persino gli spiriti più lucidi si sentono terribilmente isolati e come i più che ci guardano scorrere fra miriadi di immagini di guerra e dolore, sono colti da sentimento di sconforto e totale impotenza. Siamo qui, per levare dall'anima voci coraggiose fra la diaspora ebraica che sente come noi il bisogno di dire che non si considerano rappresentanti di uno stato che pretende di agire in loro nome, un nome di morte. Allora il concetto di guerra non sarà mai del tutto appropriato per definire ciò che sta avvenendo: una distruzione a senso unico, continua, inesorabile. Un luogo comune descrive Israele come un'isola democratica in mezzo all'oscurantismo ed Hamas come un esercito di belve assetate di sangue . In realtà noi non siamo altro che "razionalità strumentale", ossia la ragione svincolata da ogni considerazione umana e sociale. La tolleranza alla distruzione ha preso il sopravvento ed il monito lanciato è quello della parola "genocidio" messa al bando dai media che, non possono davvero fare a meno di usarla e perciò ci si premura di invitare il solito "esperto" che riesca ad essere credibile mentre respinge l'accusa. Ma noi siamo qui come ostaggi indesiderati, esclusi e disprezzati per incarnare la coscienza critica. Il nostro esistere fa da contrappunto al pensiero dominante di essere bagnati dalla pioggia dell'infamia di cui siamo esempi emblematici. La singolare alleanza fra i suprematisti ebrei di Israele e quelli bianchi degli USA sono la prova e una dimostrazione eloquente di un mondo globale "ibrido" come la definizione di guerra attraverso i droni ed i dazi che mira alla supremazia mondiale, mentre gli emigrati multietnici non sono altro che una rappresentazione di una "linea di colore" mentale e politica che è tanto più solida quanto più è fittizia. Infondo la realtà non è mai statica ed è sempre in movimento e noi occupiamo un posto incatalogabile perché non possiamo essere interpretati come espressione di stereotipi. La solidarietà che ne sorge è un movimento contro la segregazione del sacco che incarcera e genera transfert culturali. Eppure, solo noi possiamo ricordare una storia pluralista che ricerca la verità, che esula dalla propaganda volta a presentare gli ebrei come vittime quando tutti siamo vittime di una mancata identità di "automutilazione mentale". Alla fine prevarranno ancora una volta i suprematisti e la svolta avrà soltanto una espressione parossistica e godremo tutti di una compassione narcisistica quella prevista da Giobbe nella pianta di ricino. Inoltre c'è un altra significativa tendenza, nel vedere Israele come prodotto tardivo di un consenso di complesse alleanze tra le democrazie occidentali e l'URSS che in passato riguardava la guerra fredda. Ma l'ideale ugualitario incarnato dai kibbutz è sparito e si è trasformato in una trappola creando un implacabile sistema di esclusione. Essere anticapitalisti in Palestina significa proseguire metodicamente un processo di guerre che diviene un sistema di apartheid per creare bastioni di imperialismo. Netanyahu non è altro che la cupa incarnazione di questa metamorfosi. 

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