LA SOMMESSA VITA - Chi non vorrebbe poter cambiare vita ed uscire da situazioni che soffocano? Chi non vorrebbe sentirsi un vincente ed avere il primo posto della considerazione e della felicità di una vita pressoché perfetta? Tutti lo vorrebbero eppure nessuno se la sente di cambiare veramente le cose perché ci si chiude inesorabilmente nel proprio guscio, nella propria confort zone dove ci si sente tranquilli e dove si va avanti con le proprie abitudini di una vita banale che rasenta la meschinità. Per questo visto che è così faticoso guadagnarsi un posto sociale sicuro, un ambiente dove si possa vivere senza tanti patemi, viene da domandarsi se sia veramente giusto che il film "La seconda vita" di Vito Palmieri finisse in maniera romantica illudendo i carcerati che una volta usciti dalla galera troveranno qualche spiraglio di speranza, quando invece non servirà in certi momenti essere ricorsi ad una riparazione, perché certe volte non si tratta di riparare una semplice crepa di una campana di paese, ma si tratta di mettere insieme dei cocci di qualcosa come la fiducia, la confidenza che si era data a qualcuno e che poi è stata disattesa e tradita da comportamenti delinquenti o di sopruso portando alla inevitabile distruzione e frattura di rapporti famigliari. Molti racconti ed esperienze di carcerati insegnano che i famigliari sono spesso i primi a prendere il distacco e a non riconoscere più come parte della famiglia il galeotto, in quanto poi subiscono anche loro lo stesso pregiudizio che subisce il colpevole e vengono spesso ghettizzati ed additati come complici di crimini pur essendo stati inconsapevoli di ciò che avveniva nelle coscienze dei loro cari. Infatti, il direttore della biblioteca si approfitta della debolezza non solo della ex-carcerata Anna, ma anche di quella dei paesani che non la difenderanno mai completamente nonostante potesse subire uno stupro e ciò svela che poi alla fine è il tipo di uomo che ha il vuoto dentro della rigida inibizione fatta di regole severe di perbenismo, fatta di rispettabilità dovuta più che altro ad un ruolo di rilievo sociale che poi finiscono per essere violenti e cattivi persino con loro stessi al punto da bere e poi non riuscire a reggere l'alcol e divenirne dipendenti per riuscire a disinibirsi. D'altra parte l'introversione di Antonio è veramente difficile da scalfire perché è radicata alla convinzione di stare bene così com'è dentro quella bolla di sapone, pur volendo emergere come quelle statue di Peccioli un piccolo borgo dove non ci sono molte distrazioni tanto che il primo appuntamento ed il primo approccio amoroso avviene presso una discarica da dove si rileva nient'altro che l'impaccio di un uomo che non può fare altro che pensare alla propria condizione di povertà sociale, senza pensare a cosa significhi veramente avere una dignità come quella di possedere una casa decente e pulita dove poter abitare, ed una attività più riconosciuta. In sostanza poi Anna uccide la sorella per gelosia, fatto che probabilmente si sarebbe potuto evitare se fosse riuscita ad esprimere i propri sentimenti ed emozioni, ed invece tenerli troppo controllati e soffocati come dentro una vasca prima o poi esondano e si traducono in una rabbia talmente forte da tramutarsi in odio feroce che diventa omicida, a meno che non si prenda per tempo la giusta distanza da tali pensieri ed atteggiamenti superando gli ostacoli dovuti alla mancanza di autostima. Nel film non si vede molto il lavoro che viene svolto dai mediatori psicologici sia negli incontri con famigliari e vittime e sia in quelli a livello penitenziale, là dove si deve riportare il carcerato a confrontarsi con il passato in maniera consapevole e non in maniera distaccata e fredda come spesso accade quando si commettono delitti efferati senza una giustificazione che possa essere tollerata in qualche modo perché infondo le attenuanti di una pena e il fatto di arrivare al perdono, non danno giustizia alle vittime e nemmeno sanano le ferite inferte. Prevenire i delitti è complicato, soprattutto perché il problema più grande è quello della mancanza di dialogo nelle famiglie che sono spesso scomposte da invidie fra parenti e da divari di posizione sociale. Inoltre a livello del lavoro carcerario pare (dal film) che non vi siano molte possibilità di reinserimento sociale e che in tale ambito non si sia l'accompagnamento dell'assistenza sociale prevista con obbligo di firma nei primi tempi di adempimento degli impegni presi in costanza di segregazione. Perciò il film racconta mezze verità, quando invece la realtà del carcere ti rende una persona disgregata completamente, diffidente ed insicura praticamente al 100% per il fatto che non esista ancora una buona cultura del reinserimento e un lavoro di profili psicologici dei criminali più adeguato per modo tale da avere un quadro più completo delle situazioni e da investire nella maniera giusta le risorse destinate al caso: quelle della cultura della comprensione.
IL GERARCA - Guardandosi intorno alla stanza dove si era rinchiuso per ripassare la sua parte attoriale politologica, si rivedeva in quel pubblico elettore. Dapprima c'era quel bambino timido sognante che rimaneva come estasiato da raggi radiosi di un utopia, poi c'era l'adolescente che si doveva confrontare con il disincanto della sfida dell'esperienza quotidiana ed infine c'era l'adulto che aveva a che fare con la complessità e la problematicità ed il relativo carico di cifre demoniache di nome azzardo, avventura, scacco, sconfitta e naufragio. Egli, per tale motivo, avrebbe tanto voluto attuare il compito di porsi a livello critico nell'argomentazione deduttiva, ponendosi un itinerario popolato di sintesi delle normative in cui era difficilissimo e alquanto complicato orientarsi per poter raggiungere dei risultati quanto meno decenti. Tuttavia, a livello organizzativo era molto complesso costruire forme di conciliazione/integrazione delle forme antinomic...
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