ASEPTICA - Finita l'intervista Abigail si recò in camerino a togliersi il trucco e mentre si guardava allo specchio si ricordò da dove era venuta e quanta strada aveva fatto per giungere a quel momento. In un certo senso, però, ella rimaneva quella ragazza nigeriana che era fuggita dal suo paese per avere un opportunità migliore, ma che si era trovata davanti a tanti ostacoli dovuti ai pregiudizi nei confronti degli stranieri. In effetti, la realtà che aveva vissuto era ben diversa da quella vissuta dai giovani del paese ospitante là dove spesso l'infanzia e l'adolescenza vengono costrette a spendere le loro stagioni della vita nella scuola seduti in un banco, dove per di più sillabare le parole mercato e mediatico può produrre un baratro di una pericolosa deriva etica e sociale. Per lei, invece, la scuola era finita presto per andare a lavorare a spaccare pietre assaggiando l'amaro calice della marginalità e dell'incomunicabilità, generate da un mondo avvolto dal silenzio stampa sull'uso giusto delle terminologie e delle parole là dove spesso la filosofia veniva confusa con un opinione di senso comune e perciò le sue espressioni venivano talvolta censurate come eversive, alimentando così un acuto sentimento di smarrimento e di sgomento personale. Quella, infondo, per Abigail era una stagione cruciale della vita perché su 3.000 extracomunitari che raggiungono il traguardo della cittadinanza ce ne sono altri che paiono costretti ad inginocchiarsi davanti a uno scenario istituzionale e sociale che accentua la storica divaricazione fra chi controlla i flussi migratori e chi intende accedere ad un diritto, tra la scarsa permeabilità istituzionale e la forte domanda di partecipazione sociale. Tutto ciò pare frenato dall'indisponibilità di chi detiene il potere a socializzare e democratizzare i luoghi della discussione e delle decisioni a favore dell'intera collettività. Per tali motivi Abigail aveva studiato insieme alla matematica Giulia Furioli un sistema di successione simile a quello di Cauchy che prevedeva che se al 1° anno venivano accettati e riconosciuti 3.000 migranti, nel 2° anno si dovesse scalare di 500 in più, fino al raggiungimento del completamento della lista di attesa per costi progressivi di 1.000 euro e quindi di 500.000 euro da spalmare su 30 residenze proposte (cioè il 10% di 3.000 migranti) e dunque per un valore di 16.600 a migrante all'anno X i 5 anni proposti dal referendum = 83.000 euro X 3.000 migranti = 249.000.000 di fido X 50% previsto del quorum = 124.500.000 + 16.600 (cioè il valore di 1 migrante all'anno) = 124.516.600 costo di un alloggio/3000 migranti = 41.505,53 costo effettivo minimo di alloggio nei centri accoglienza compresi gli alimenti X 5 anni = 207.525 che vanno moltiplicati per le migliaia e quindi con un risparmio rispetto ai 249.000.000 di = 41.475.000 e questa vale come prova del 9 con un minimo differenziale dividendo per le migliaia rispetto ai 41.505,53 di = 30,53 di rimessa per ciascun cittadino che poteva partecipare al voto. A fronte, però, dell'accentrarsi del disorientamento determinato dalla scoperta della pluralità dei centri urbani (caratteristica dell'esperienza di inclusione nelle nostre società multiculturali) tale costitutiva modalità di individuazione identitaria dei migranti degni di ottenere la cittadinanza si traduce spesso in forme di chiusura nei recinti dei mondi locali. Una chiusura che contraddice all'alterità che proprio i processi di identificazione richiedono come irrinunciabile.Infatti l'identità singola e dei gruppi è sempre un evento intersoggettivo ed interculturale, nel senso si costruisce e si struttura nell'interazione con l'altro che ci aiuta a riconoscerci nella nostra unicità e pertanto nella nostra differenza. Sovente, tuttavia, l'estraneità e la differenza dei gruppo esterni divergendo da modelli culturali e codici comportamentali noti e consolidati generano paura ed insicurezza che si traducono purtroppo in rifiuto ed esclusione, aggressività ed intolleranza. Questo bisognava cercare di evitarlo. 

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