UTOPIE SPEZZATE - Fra gli allievi di Venturelli c'era Franco, un convinto ateo, nichilista, spaventato dal nulla come i più, razionalista dispregiatore e pure anarchico che inseguiva i suoi balordi sogni di vanagloria per sfuggire alla tragicità della propria condizione, inesorabilmente determinata dalla caduta del tempo di cui la mortalità è suggello. A Franco quelle che stava studiando parevano tutte bazzecole perché avvertiva continuamente l'insensatezza di ogni agire umano, cosicché anche l'impossibile, inseguendo il quale pare che gli uomini possano trovare se stessi, altro non era che una illusione. Per questo sosteneva che sarebbe prova di salute mentale relegare i sogni e l'anarchia nell'oscurità cui già allude il prefisso privativo che le qualifica entrambi. Fin da quando era bambino, Franco era un tipo timido e confuso riguardo alla democrazia perché in casa sua comandava suo nonno, un generale davvero autoritario ed imponente che gli aveva impartito l'educazione della negazione che aveva segnato con negatività qualsiasi altro pensiero o ideale che si fosse allontanato da tale concetto di potere autoriale. Questo modello doveva essere appreso, in casa di Franco come base di ogni potere che solo in quel modello intransigente e severo poteva permettersi di superare indenne i mutamenti di identificazione conosciuti a livello esclusivo-inclusivo. Anche al di là dei suoi comportamenti di bravura pratica, infatti, se Franco non riconosceva né la fondatezza di un sistema accentratore né quella funzionale, egli non poteva essere concepito come realmente facente parte di quella famiglia e quindi veniva considerato un potenziale nemico che come tale va scartato o isolato e poi governato autoritariamente o decisamente combattuto. Franco, perciò si era sempre sentito diverso ed avversato da una dinamica di negazione ad una personalità che potesse in qualche modo sfuggire a quanto la logica archetipica del potere maschile recava in sé ed era per questo motivo che ad un certo punto rendendosi conto di essere fuori posto in quanto si sentiva più innervato nell'illuminismo, nel positivismo e nel materialismo, Franco se ne era andato di casa diventando un vagabondo senza meta e senza speranza. Dopo qualche tempo, trovandosi senza mezzi per sopravvivere, aveva deciso di fare lo stradino, ma la sua esistenza era sterile e vuota che non riusciva mai a conciliarsi, sia pur criticamente, tanto con il socialismo di suo padre che con il liberalismo di suo zio Sergio, risultando rispetto ad entrambi spesso poco più che una variabile labilmente estremista e dissociata da qualsiasi ideale politico. Perciò era diventato un eterno contestatore dell'accomunamento inteso come uniformismo che i grandi potenti della terra come Putin e Trump tendono a fare apprendere per poter avere dalla loro una infinita pura possibilità seppure astratta e slegata da qualsiasi contesto. Per tale motivo, Franco avvertendo il problema insolubile della sua contradditoria natura si sentiva imprigionato e costretto ad una condizione neutro-formale che consisteva nell'ammettere la definizione di libertà come quella particolare forma che riesce bene in ogni cosa e sa conquistare l'universo femminile e l'oggetto dell'amore iscrivendosi nell'orizzonte infinito-indefinito di un ideale in sé non ben definibile. Franco per questo stava male perché sia teoricamente che praticamente ogni giorno si ritrovava a dover fare i conti con quanto il suo radicamento tradizionalista e razionale comportava per poi diventare infondo la negazione di tutto quel vuoto a perdere che non si sarebbe mai potuto recuperare e sanare e sarebbe divenuto irriducibile follia. Franco per questo lasciò la scuola e dopo qualche mese dalla sua scomparsa venne trovato morto suicidato nel garage di casa sua come a dire che non ce la faceva più a continuare in quel modo ed il suo grido era contenuto in quell'addio che aveva lasciato nel messaggio a suo fratello "Perdonatemi se potete".
IL GERARCA - Guardandosi intorno alla stanza dove si era rinchiuso per ripassare la sua parte attoriale politologica, si rivedeva in quel pubblico elettore. Dapprima c'era quel bambino timido sognante che rimaneva come estasiato da raggi radiosi di un utopia, poi c'era l'adolescente che si doveva confrontare con il disincanto della sfida dell'esperienza quotidiana ed infine c'era l'adulto che aveva a che fare con la complessità e la problematicità ed il relativo carico di cifre demoniache di nome azzardo, avventura, scacco, sconfitta e naufragio. Egli, per tale motivo, avrebbe tanto voluto attuare il compito di porsi a livello critico nell'argomentazione deduttiva, ponendosi un itinerario popolato di sintesi delle normative in cui era difficilissimo e alquanto complicato orientarsi per poter raggiungere dei risultati quanto meno decenti. Tuttavia, a livello organizzativo era molto complesso costruire forme di conciliazione/integrazione delle forme antinomic...
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