CLAUSTROFOBIA - Confessione di una clarissa nel suo diario segreto trovato dopo il suo decesso, nascosto nel fondo del suo comodino. "Non so davvero se avessi avuto l'attitudine alla castità, ma io volevo rimanere certamente in ordine con il mio corpo quando venni qui in convento ed avevo anche l'obiettivo di ammaestrarmi e di governare le mie sensazioni, emozioni e sentimenti ed è per questo principalmente che bussai alla porta di Cristo insistentemente. Io volevo essere, prima di tutto padrona di me stessa ed ecco perché accettai il voto di castità; volevo anche aprire o chiudere le porte alle pulsioni che mi si sarebbero presentate, in quanto non si può assecondare tutto ciò che ci attira e non possiamo nemmeno rimanere in balia di tutte le folgorazioni che ci colpiscono e di tutti gli appetiti che ci lusingano. Noi, siamo chiamate a vivere bene, nella serenità e nella gioia e per stare bene occorre sapersi custodire nella propria dignità e nel saggio uso dei confini dell'habitus che indossiamo nella sua forza desiderante. La relazione con il limite, però, per un periodo della mia esistenza mi è apparsa, lo confesso claustrofobica perché per me il problema consisteva nel confronto con i confini di identificazione con i limiti. Spesso, pure nella preghiera mi si creava un profondo stato di confusione in cui sentivo come se mi mancasse l'aria e avevo una totale assenza di riferimenti figlia della latitanza dell'educazione e perciò vivevo dentro ad una specie di nebulosa informe. Non capivo chi ero e cosa volessi veramente e vivevo di inganni di ogni genere come quello di dire di aver servito Pavarotti e la sua allora compagna Nicoletta quando si erano recati in vacanza dove io facevo da guida ed interprete. Allora il timone della mia vita era l'attrazione lussuriosa che mi ha condotta ad avere dei rapporti occasionali con un tizio del posto e a seguire con lui un principio di dis-identificazione e di sequela senza meta alcuna."
IL GERARCA - Guardandosi intorno alla stanza dove si era rinchiuso per ripassare la sua parte attoriale politologica, si rivedeva in quel pubblico elettore. Dapprima c'era quel bambino timido sognante che rimaneva come estasiato da raggi radiosi di un utopia, poi c'era l'adolescente che si doveva confrontare con il disincanto della sfida dell'esperienza quotidiana ed infine c'era l'adulto che aveva a che fare con la complessità e la problematicità ed il relativo carico di cifre demoniache di nome azzardo, avventura, scacco, sconfitta e naufragio. Egli, per tale motivo, avrebbe tanto voluto attuare il compito di porsi a livello critico nell'argomentazione deduttiva, ponendosi un itinerario popolato di sintesi delle normative in cui era difficilissimo e alquanto complicato orientarsi per poter raggiungere dei risultati quanto meno decenti. Tuttavia, a livello organizzativo era molto complesso costruire forme di conciliazione/integrazione delle forme antinomic...
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