LA TEOLOGIA DEL GIUBILEO - La Chiesa cattolica col Giubileo si pone l'obiettivo di una qualifica di universalità, identificandosi ambiziosamente col Regno di Dio. Meditando il Vangelo e ascendendo dalla Parola all'intenzione del Maestro, sotto la guida dello Spirito Santo, si scopre nel cammino sella Speranza che il Regno di Dio non è universale come essere, ma come continuo, paziente e costante divenire. La Chiesa, allora diventa una missione, di annunciazione del senso della storia che non si identifica più solo nel Regno di Dio. Perciò, c'è una rilettura del Concilio Vaticano II di carattere riformista, che sta nella conformazione della Chiesa nella comunità di più chiese. Questo progetto di frantumazione della fede, non rende però energetica la centralizzazione della Chiesa e così la storia s'incarica di scoprire senza pietà alcuna il paradosso di una religiosità che ha voltato le spalle alla sofferenza umana e questa è una realtà che parte dal dopo Aushwitz e dagli ultimi attacchi di origine terroristica a New Orleans e di alcuni esagitati disperati come l'egiziano che accoltellava senza un motivato perché dei passanti a Villa Verrucchio. Il centro di decisione per cui Papa Francesco, nelle sue recenti omelie, ha chiesto più e più volte il condono totale o per lo meno l'alleggerimento dei debiti dei Paesi sottosviluppati del Terzo Mondo, ha eseguito fino ad ora una distribuzione iniqua, addirittura assassina e guerrigliera, dei beni della terra e delle sue risorse specie quella del gas metano e delle energie che ora aumenteranno in bolletta. Perciò la nostra responsabilità su guerre sanguinarie, senza intervalli apprezzabili, pone a riferimento un possibile centro religioso, che abbia come ermeneutica una identità, costruita sulle parole del Vangelo, che non siano più rinchiuse in formule irritanti che inevitabilmente appaiono dichiarazioni di nuovi conflitti, ma che appaiano piuttosto come aperture, alla lettura di chi voglia interessarsene, a programmi di spiritualità di grande ed importante profondità. Di fatto, però, c'è una tendenza alla privatizzazione della spiritualità, svuotata di responsabilità verso l'altro inteso come prossimo. Infatti, non è difficile incontrare persone che si affannano a colmare con iniziative di carità quelle piaghe che loro stesse aprono con la loro insensibilità davanti al tema della giustizia per una apertura al processo che vuole superare la crisi di identità: La forma, dunque del Giubileo, potrebbe allora diventare contro la volontà del Papa e male interpretare le sue intenzioni, per quella clamorosa solennità, che vuole soffocare l'esigenza di giustizia quando è proprio questo il concreto segno che i cristiani debbono rimanere aperti alla ricerca di modelli teologici diversi nel presentare i misteri non più dentro formule dogmatiche, ma dentro esempi più comprensibili, in uno sforzo più utile di una teologia della liberazione. Quest'ultima proposta, non ha avuto il tempo di farsi accettare e nemmeno quello di chiarirsi e difendersi nella sua ermeneutica. Ciò è comprensibile, perché introdurre una forma di pensiero dell'identità teologica fra le categorie della giustizia, soprattutto se storicizzata, materializzata e rivolta a fatti concreti di salari ingiusti, di mancanza di sicurezza contro il terrorismo e contro i disastri ambientali, e ad altri fatti simili, possa essere additata come sacrilega, ma di fatto, invece non si tratta altro di fare sfociare una filosofia che possa assumere ed assimilare nel termine "pellegrini di Speranza" l'avventura dell'unico soggetto trascendente che assume sulle sue spalle tutte le ingiustizie e le divisioni sociali. Assumere tale atteggiamento non è una assurdità, ma nient'altro che il riconoscimento di una crisi nel confronto ecclesiale della teologia con la modernità tecnologica che avanza nell'intelligenza artificiale e con il progresso scientifico per giungere a trovare in sé stessa una svolta sostanziale. Per tali motivi, il principio di autorità ecclesiale, dovrebbe tentare di introdurre nel suo progetto una società finalmente liberata, da quegli ostacoli che impediscono la razionalizzazione della rivelazione e che reinterpreti il Concilio Vaticano II nei metodi di fare teologia e cioè trovare soluzioni per continuare la propria attività in una cultura più universale che pone il trascendente come povero, straniero, malato, emarginato per impedire alla relazione con Dio di attuarsi nella grave ignoranza degli uomini e delle cose. Queste cose diventano crisi delle sofferenze in quanto spesso gli emarginati ed i bisognosi divengono più che altro oggetto di assistenza e di carità di donazioni, e quindi esseri senza un volto e senza nome, quando invece, Gesù non fa distinzioni di categorie di persone perché non si può passare la vita guardando senza mai effettivamente vedere chi è il nostro prossimo e cogliere che chi ci sta accanto costituisce la nostra vera relazione con Dio e con la spiritualità. La compassione è stata sovente assimilata al merito del Paradiso, quando è un valore concreto accessibile a tutti per cui la teologia diviene un cammino attuabile e fattibile all'etica. La vera virtù non sta in un orgoglio di categoria, ma nel crollo dell'amnesia dello sgomento dell'infinito nella scoperta del limite della parola e nella scomparsa di ogni immagine per continuare l'indagine. E' lo sgomento di trovarsi in un itinerario logico che tenta di usare la ragione e poi la vede incepparsi per poi naufragare nel tentativo di rispettare una promessa di rispettare il tracciamento di un sentiero che apra al cammino che porta ad avanzare. Il mistero fa intravedere l'infinito nella sua meditazione e contemplazione. C'è una aritmia impressionante fra il tempo interiore, che regola i palpiti, lo svolgersi della vita psichica e il tempo esteriore regolato dalla tecnica spazio tempo che non lascia uno scorcio alla teologia di relazionarsi con l'infinito e quindi di liberarsi da un metodo che allontana la persona dalla storia e dalle violazioni che la riguardano. La teologia diviene primariamente un etica e non una escatologia, come si può credere per evitare gli assurdi del tempo e come giustificazione di tutte le crudeltà che colpiscono gli innocenti. Gesù ricoperto di obbrobrio e trattato come un malfattore e segnalato addirittura come un pazzo diviene pietra testata d'angolo e guida dell'umanità per una escatologia che vuole infonderci la Speranza e l'assicurazione che dobbiamo prendere sul serio la nostra vita, non sciupare il tempo ed investire sul punto di arrivo come abito già presente nel percorso. A questo punto si delinea la 2° parte della proposta che riguarda l'etica come escatologia ed utopia.
IL GERARCA - Guardandosi intorno alla stanza dove si era rinchiuso per ripassare la sua parte attoriale politologica, si rivedeva in quel pubblico elettore. Dapprima c'era quel bambino timido sognante che rimaneva come estasiato da raggi radiosi di un utopia, poi c'era l'adolescente che si doveva confrontare con il disincanto della sfida dell'esperienza quotidiana ed infine c'era l'adulto che aveva a che fare con la complessità e la problematicità ed il relativo carico di cifre demoniache di nome azzardo, avventura, scacco, sconfitta e naufragio. Egli, per tale motivo, avrebbe tanto voluto attuare il compito di porsi a livello critico nell'argomentazione deduttiva, ponendosi un itinerario popolato di sintesi delle normative in cui era difficilissimo e alquanto complicato orientarsi per poter raggiungere dei risultati quanto meno decenti. Tuttavia, a livello organizzativo era molto complesso costruire forme di conciliazione/integrazione delle forme antinomic...
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