OLTRE LA PRIGIONIA - Aprire la porta del carcere di Rebibbia come emblema di porta santa è come sentirsi costretti ad oltrepassare la linea che divide il "reale" da ciò che è irreale perché le utopie dei riformatori del regime carcerario sono rimaste rinchiuse spesso dietro le sbarre dei pregiudizi, dell'emarginazione, della disumanità del supplizio che inducono ad una serie di effetti del reale nel loro essere rimaste soltanto a livello progettuale e mai del tutto attualizzate. Sono una giornalista che deve cercare di far partire un osservatorio sulla condizione della detenzione e nella mia ricerca ho scoperto che Foucault aveva proposto in passato una distinzione tra 2 specie di formazioni pratiche, le une discorsive o di enunciati, le altre non-discorsive o di ambiti, ma questa proposta non risolveva per niente il modo con cui dovesse essere trascorso il tempo dentro una prigione e così insieme a frate Gabriele Trivellin ho pensato di proporre un torneo di burraco le cui vincite sono quelle di occuparsi di lavori più "leggeri" come quello del bibliotecario, o della lavanderia. In tale modo tutti i detenuti vengono coinvolti in un gioco di socializzazione che pone la disciplina di rispettare alcune chiare regole e la cui vincita non è il denaro, ma sono degli agi all'interno della pena e ciò farebbe intravedere che ce la si può cavare anche in situazioni che paiono disgraziate. Infatti, ciò che balza immediatamente agli occhi, nei progetti dei riformatori, è il tentativo di non fare più agire la punizione corporale che veniva inflitta ai tempi dell'Inquisizione, ma di tentare di applicare l'apparato penale su qualcosa di molto impalpabile: i diritti, intendendo in qualche modo fare in modo che il condannato redima la propria anima. La pena così viene indirizzata non solo a chi la subisce direttamente, bensì a chiunque possa assistervi attraverso l'impresa di fare aggrappare ogni individuo alla Speranza di poter diventare creature migliori che possono con il loro apporto generare un mondo migliore. Ciò, determina già da sé, una rottura radicale con il modo di concepire ed amministrare la punizione che non viene intesa più come lo scatenarsi della potenza di un governante repressore come è accaduto in Siria e come sta accadendo alla giornalista Cecilia Sala carcerata con l'accusa di aver violato con i suoi servizi giornalistici le leggi della Repubblica islamica per la quale è stata tradotta nel carcere di Evin simbolo di repressione politica del regime iraniano. La prigione perciò appare come un apparato disciplinare esaustivo dove prendere in carico tutti gli aspetti dell'individuo specie nel suo addestramento psicofisico che viene condizionato dalle condizioni di detenzione che tendono a tramutarlo in un individuo più obbediente alle regole dello Stato. Sarebbe troppo semplice, però, ritenere la prigione un luogo ideale dove si avvera il sogno di una società che punisce in maniera indolore, semplicemente privando la persona della sua libertà quando in realtà tutto l'apparato ed il suo funzionamento sono lontani dalla semplice meccanica di una rappresentazione ideologica di rieducazione dei condannati con lo scopo di renderli utili a sé ed alla società con una metodica costante e paziente volta alla regolarità dell'addomesticamento ad un impegno quotidiano che porti al progresso dei costumi e delle abitudini dei prigionieri in modo tale che non divengano recidivi ai reati, ma che divengano persone più rette che sanno riscattarsi. D'altronde, il nuovo sistema carcerario, non è più interessato all'infrazione della legge, ma al fatto di liberare le pratiche giuridiche da considerazioni di ordine morale o religioso, come unico elemento di diritto di cui occuparsi bensì invece di puntare di più sul controllo di prevenzione ai reati e alle inclinazioni ed intenzioni di reato. Di qui, tutto l'apparato di osservazione che la prigionia permette si amplifica con lo studio sociale di questo microcosmo. A sottolineare questo aspetto c'è l'indipendenza relativa che l'istituzione carceraria acquista nella modulazione della pena che deve essere suscettibile di variazioni a seconda che la guarigione del carcerato sia più o meno veloce. In realtà, in tale ambito si creano nuovi tipi antropologici che danno un nuovo determinato statuto ontologico del delinquente occasionale o del recidivo, da cui i magistrati si trovano tutt'altro che a giudicare, semplicemente divengono applicatori di una legge. Con la punizione, difatti, non si cancellano gli atti illeciti commessi, ma si eliminano le possibilità che si ripetano in futuro. Ma nel sistema penale l'atto di punizione viene spostato più a monte all'atto del giudizio, mentre l'atto di punizione sprofonda dietro le sbarre e la correzione non viene recepita mai effettivamente come giustizia per chi ha subito danni e perciò c'è tutt'ora la ricerca sulla reale trasparenza del giudizio e sullo scopo della pena. Assistiamo, oggi, dunque ad una redenzione che passa attraverso la circolazione del segno che la pena sia di pubblico dominio nel suo elemento di luce che la correzione passa attraverso la discrezione per soggetti giuridici riqualificati dal regime carcerario e sotto la guida (novità?) della medicina psicologica che studia l'oggetto che ha condotto la mente umana a concepire reati e a lasciarsi coinvolgere dalla malvagità. Forse bisognerebbe demistificare l'istanza globale del reale come totalità da restituire dopo il carcere. Non esiste un reale da raggiungere perché dietro le sbarre tutto può essere perduto a profitto di astrazioni inconsistenti, qualora si considerassero le relazioni fra carcerati e personale impiegato negli istituti di pena. Un tipo di pensare, una razionalità, un programma, una tecnica, un insieme di sforzi coordinati dagli obiettivi definiti e perseguiti, degli strumenti per raggiungerli tutto può contare nella realtà stessa della società che vive la prigionia anche nella scuola, nella fabbrica, nei luoghi della politica e persino in quelli culturali perché il vero valore è nella dignità umana che ha comunque il diritto di esprimersi e di venire a galla per dire al mondo che esiste la vita e che questa ha la precedenza nell'essere salvata e custodita nella sua interezza. 

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