ALL'AMORE NON CI CREDO. Il brume che ricopre i pensieri tesi verso l'amore, non lo fa intravedere e la melanconia ha la meglio. Seduta fra i deserti sentimenti me ne sto monotona a guardare fuori dalla finestra di questa desolata stanza di una comunità terapeutica. Dentro di me risuonano le parole di una coinquilina che ammette di avere la mente stanca e priva di energie, consumata com'è dal torpore degli psicofarmaci che le sono stati dati per i suoi tentativi di suicidio là dove avvertiva delle voci che le dicevano che lei non valeva nulla e che non ci stava a fare niente in questo mondo. Lei aveva costruito la frase cruda e nuda "All'amore non ci credo, perché se ci fosse Dio non permetterebbe le guerre, la fame, la povertà e le malattie e farebbe a me il  miracolo di poter trovare il suo dolce volto fra tanti in modo da sentirmi compresa". Nemmeno io all'amore ci credevo quando venni a stare qui in questa comunità terapeutica ed anzi pensavo di non esserne per niente degna e nemmeno adatta a poterlo esprimere ed ecco perché mi arrabbiavo così frequentemente, sognando che qualcuno mi comprendesse, un qualcuno che mai arrivò. Tutte le volte appena mi aprivo un poco, incontravo qualcuno che mi provocava con i suoi tranelli che mi facevano credere di essere fuori posto, indisciplinata e inadeguata per ogni cosa per il divertimento di farmi arrabbiare e poi sentirsi in ciò vittoriosi. Durante la prima seduta di terapia di gruppo, difatti molti tentando di capire gli atteggiamenti di chi mi osteggiava, e facendomi come al solito sentire infima e in colpa producevano in me quel senso di cattiveria che esplodeva prima o poi con l'inveire contro questo o contro quello mettendomi sulla difensiva a modo mio. Infondo, tutti volevano difendersi dai loro fantasmi del presente e del passato che generavano in loro incubi come per Marina che nei sogni si rivedeva bambina a contendersi una bambola con la sorella che sempre gliela strappava dalle mani, lasciandola sola a piangere e poi avendola vinta dai genitori che dicevano che infondo forse ci aveva giocato troppo con la bambola, mentre al più presto sarebbe dovuta crescere e maturare. Marina si ricordava di quando la comparavano alla sorella, facendole notare che lei raggiungeva prima i risultati scolastici, mentre lei rimaneva indietro e faceva fatica ad apprendere specialmente la matematica. Un giorno Marina esplose e tirò una sedia che finì per colpire una compagna di classe in un occhio ed allora si fecero intervenire gli assistenti sociali e la psicologa di turno, ma lei era l'unica della famiglia che si doveva presentare sola dallo specialista dello studio mentale, mentre gli altri dovevano continuare con le loro insulse vite da manuale, vite da poveri illusi che vanno avanti per labili soddisfazioni. Invece, lì nella comunità terapeutica tutti erano uguali nelle difficoltà ad affrontare il mondo e a destreggiarsi dentro ad esso, difendendosi da buggerature e frodi. Un giorno ragionando con la guida psicologica Marina si accorse che non aveva mai pensato a quello che faceva e lo faceva in maniera abitudinaria e meccanicistica e così quando arrivò il momento triste del cambiamento dovuto alla morte della madre ella si trovò spiazzata e per questo continuò ad aggrapparsi alle vecchie abitudini, ma così facendo lasciò praticamente tutta la famiglia con poco da mangiare perché lei di solito comprava 1 etto di prosciutto crudo per farsi il panino a mezzogiorno e non era abituata a comprare il prosciutto anche per gli altri e a pensare anche per loro e ciò lo ammetteva insieme ad Arianna, un altra ospite della struttura terapeutica che lasciò suo figlio senza molto da mangiare prima di andarsene di casa, da quel luogo dove lei soffriva per non sentirsi mai molto ascoltata e compresa. Purtroppo Arianna vivendo in una forma di astrattismo mentale non si ricordava di avere un figlio e nemmeno delle sorelle che se solo avessero saputo del suo disagio, si sarebbero fatte volentieri in 4 per poterla aiutare, ma no, niente, fra di loro c'era molta indifferenza ed ognuna pensava solo alla propria dimensione e alla propria residenza dove si svolgevano i fatti quotidiani del procedere uniforme della loro vita. Per questo Marina non credeva all'amore: l'amore è pensiero che si concretizza e non sono solo parole qualsiasi, ma una mano che sa tendersi fra le nubi oscure della mente facendo luce nel cuore. 

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