IL PANCHINARO. Rientrato in casa Alessandro avvertì il brivido cupo ed oscuro della solitudine. Tutto parlava della figura di sua madre perché tutto era rimasto come prima. Non passava giorno che non avvertisse la pesantezza di quei mobili di noce, l'ipocrisia di quelle tende di trine che pendevano dalle finestre e non c'era giorno che guardando quelle fotografie sul comò non si sentisse pervaso da un senso di angoscia e depressione. Eppure dentro a quell'ambiente si sentiva al sicuro e protetto da una specie di apologetica cristiana. Tutto attorno, difatti, vedeva la rigida ed austera legge di sua madre che definiva una combinazione di una serie di perfezioni, di cui l'ordine e la pulizia erano i principali cardini. La realtà che lo circondava, nei libri e in quei trafiletti raccolti negli scaffali, insieme ad alcune immaginette votive rappresentava una realtà densa di timore e di autoritario controllo. Il modo migliore per vivere in quel mondo era quello di rispondere ai suoi misteri in una finalità complessiva. Tutto ispirava elementi pessimistici delle polemiche materialistiche contro il finalismo naturale, ma tutto era anche estremamente corrotto dall'allontanamento dalla legge morale vera e propria "Non fummo creati per essere bruti". Nel mondo che lo circondava Alessandro non riusciva più a ritrovarsi in quanto pareva esserci un annullamento dovuto alla concezione della positività del male come volontaria resistenza alla legge specie se antica e che ora spingeva alla smodata competizione fra le persone invase dalla natura come caos. Vinto e ricacciato al fondo oscuro della sua manifestazione, Alessandro non si sentiva più parte dello spirito creatore divino e questo lo distruggeva in quanto comprendeva ancor di più il carattere parziale della libertà attraverso i mille divieti che la figura materna gli imprimeva ancora oggi con il suo vigile sguardo di mortificazione infernale eterna. Da questo cieco egoismo possessivo, non riusciva a ridestarsi e ciò in lui generava una potenza governativa distruttiva caotica. Infondo la filosofia del "Questo lo fai poi, dopo il dovere che per piacere non puoi godere subito adesso, ma devi aspettare il momento giusto" voleva riportarlo alla realtà pessimistica della coscienza continuamente infelice, figura scissa in se stesso e profondo segno di contraddizione, che nasce dall'identificazione del sé nell'oggetto che più lo intimoriva: lo scettico e diffidente comò dove il contenuto distingueva il fatto che la coscienza si concepisse nel suo mutevole divenire di fronte all'immutabile restare legati ad un'essenziale e rustica immagine che eternamente sfugge in un simulacro vuoto e spoglio. La coscienza è spinta a separarsi dal mondo del non-senso", per poter ritornare ad una ascetica libertà che comunque diviene l'opposizione e il maggiore ostacolo al godimento fine alla donazione del sé. Ciò genera sia infelicità che infecondità del ritirarsi fine a se stesso, che solo nei momenti successivi di incontri e approfondimenti, possono comportare superamenti possibili nel continuo confronto con la ragione e l'identificazione alla certezza con la presenza del mondo in noi che si trasmette al mondo degli altri che vuole conservare e proteggere i valori etici e sostanziali di una verità dei limiti e dei confini. Dentro a quel pensiero incarnato in quel comò, Alessandro si rendeva conto che non poteva mai raggiungere un qualche equilibrio e che sarebbe rimasto per sempre intrappolato e radicato a quel duro legno oscuro di noce, di buona fattura, certo, ma comunque imponente ed opprimente. D'altronde Alessandro doveva ammetterlo apertamente che c'era da praticare con fatica l'intellegibilità dei nessi oggettivi percepiti durante la veglia e quelli che costituiscono i sogni, sicché spesso i fenomeni e gli accadimenti trapassano attraverso l'utopia e l'illusorietà del mondo rappresentato, ma lui voleva ugualmente sognare per avere almeno un lumicino di speranza che la sorte gli destinasse qualche volta qualcosa di bello e piacevole. Ma, ciò che gli appariva alle spalle dello specchio della rappresentazione vista nell'ombra era lacerato da un velo di precarietà che poteva essere determinato solo dalla volontà e ciò gli procurava una tendenza alquanto irrequieta e mai soddisfatta, quale si ravvisa nell'eterno e monotono ripetersi di eventi, nell'avido occupare il posto lasciato dall'altro venuto prima di noi, senza che vi sia alcun valido scopo o interruzione. Il sé delle cose infondo è bisogno concreto, la cui soddisfazione sempre momentanea genera un nuovo bisogno da appagare e ciò genera dolore e sofferenze immani. L'unica soluzione, pare essere l'arte come conoscenza disinteressata, che permette di escludere la volontà e di provare una gioia pure, ma ciò è sollievo e consolazione riservata a pochi intenditori. Non resta che cercare di spegnere la sofferenza attraverso la negazione dell'egoismo di prevaricazione e di forzato e raccomandato successo. Alessandro per questo si voleva addormentare per poter sognare ancora quel sorriso di sua madre, quella sua voce di sostegno e di grazia che lo accompagnasse.
IL TALENTO DI AMARE. Io non conosco ancora molto bene l'amore ed è per questo che a volte non riesco a distinguerlo in mezzo alla gente che incontro lungo la via. L'amore chiede conto a ciascuno dei doni che egli affida, attraverso intuizioni convincenti o meglio postulazioni assunte come principi di dimostrazione o ancora testimonianze degne di fiducia. L'amore è una rivelazione di qualificazione che viene scritta nel mondo e nella storia, ma io non ho nessuna qualifica per poterlo dimostrare perchè sono una semplice viandante continuamente in cammino. Io però mi sono lasciata trasportare da una parola chiave che è la parola talento che era una unità di misura che riguarda la Chiesa in cui la manifestazione della Fede è una norma di credibilità del valore che non è proprio ma è di una funzione di una totalità che si esprimono nell'adesione a Dio con specifico riferimento del Cristo fatto uomo nell'accezione di proposizioni o dogmi o istanze che li definiscono. L...
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