IL PANCHINARO. Cominciava a piovigginare e le gocce picchiettavano sugli occhiali di Alessandro che dovette correre a ripararsi il capo sotto il giornale e poi andare deciso verso casa. La sua abitazione distava qualche metro dal parco e lui, mentre affrettava il passo si rivedeva bambino quando giocava a saltellare da una parte all'altra delle pozzanghere e si rivedeva con quel grembiulino blu e quel nastro legato al colletto bianco di scuola a sprizzare dalle scarpe l'acqua che poi inzaccherava le sue magre gambe. La pioggia pareva inseguire i suoi ricordi di quel tempo come se fossero ormai solo sogni lontani e distanti di quando era adolescente e voleva rombare con un motorino fra la pioggia e il divenir del tempo. Le gocce che cadevano fra le membra a imbrattare il corpo e a bagnarlo dei suoi desideri di poter diventare amante, un moto che si avverte dentro lo scorrere del sangue e fra le vene e ti prende di passione e sospiri ed incanti. Il fremito della pioggia che scende fra le pieghe della vita e inonda il destino con la sua melodia. Dove è mai finito quel tempo? Fra le gocce che piangono il cielo, fra le lacrime di spazi delusi e vinti, fra le gocce e il destino. Dove è mai finito il gioco di quel bambino? Fra le gocce che si perdono lungo il cammino e si ritrovano sotto le suole infangate delle scarpe, fra le gocce e la strada che risuona di una sorda melodia. Lo sai, non sei più lo stesso e ti senti che perdi le forze con la pioggia che scende e cala giù sull'amaro destino. Lo sai non sei più pazzerello, ma devi rimanere misurato come il ritmo del tempo che risuona nella strada e fra l'asfalto. Sassoso è l'andamento e tu rimani come assorto senza più nemmeno avere un sentimento. Vagamente ti ricordi di quella madre pioggia maestra che ti insegnava a ripararti e a cercare di farti scivolare addosso quella pioggia, ma invece tu inesorabilmente ti bagnavi della sua freddezza e così ti raffreddavi. Fra gli starnuti capivi la tua malattia di voler essere un amante ed avere anche solo un secondo d'amore che potesse colpirti in tutto te stesso. La pioggia come lacrime salate, che inondano la vita, fra il giubbotto e i pantaloni. Piovendo, andando fra i ricordi e le lacrime del sogno di diventare amante. Lasciare che ti scivoli addosso la passione che ti coinvolga e ti prenda in ogni parte e fra le mani e le ginocchia ti pieghi a respirare un altro corpo. Lasciare che la pioggia diventi un respiro fra le labbra tumide e le carezze di sogni indovinati. Ma tu ti rigiri nel letto senza riuscire a chiudere le palpebre, tu ti arrovelli per come potresti essere, ma non riesci mai. Ma tu ti rigiri, fra il frastuono dei pensieri. E che sarà mai? Cosa sei diventato mai? La notte fra il cuscino e le stropicciate lenzuola, ti raggomitoli a cercare l'immagine perfetta di quel desiderio che si chiama amore. Dammelo tu pioggia, sembri invocare con il tuo agitarti che non riesce ad arrendersi al sonno. Dammelo tu pioggia, quel beato amplesso che mi porti a conoscere la mia verità. Invece, il corpo non risponde e rimane fermo, immobile su quella panchina ad attendere il turno per giocare la partita dell'amore. Dammelo tu pioggia, quel sorriso d'amore fra le nuvole e la speranza di un nuovo cielo di sole. Piccolo bambino che giochi con le pozzanghere di un ingenuo affetto, fatto di felici pensieri che si susseguono fra le gocce senza preoccupazioni. Rude, ragazzo che cerchi la tua ragione fra le ribellioni di un apostrofo fra le righe dell'interpretazione. Non fosti a portare sul palco della vita che la tragedia del disperso amore, non fosti che a portare scompiglio che poi si tramutò in sonnolenza. Apri quel portone con la chiave, che cerchi nel mazzo incerto e dubitante; apri quel portone con le gocce che si spargono per terra e fra i pensieri. Non lo vedi cosa ti è rimasto? Sentire un miagolio di gatto che fugge e si nasconde fra la notte e tu ti nascondi nel pudore e nella vergogna di aver provato e di aver fallito. Non fosti a provare il teatro della vita, dove la maschera interroga e ti porge la sua falsa riga e la sua ipocrisia. Non fosti a provare la solitudine dell'abbandono e per questo dovesti prendere quel sonnifero che ti rende calmo e quieta la bufera interiore. Ora sogna, come allora. Ora sogna chiudendo gli occhi e piano, piano fatti accompagnare dal ritmo delle dita su quella tastiera come pioggia che ti libera e ti fa sentire pregno di desiderio. Sogna e fatti incantare, fra il cuscino e le lenzuola e poi nella coperta a riscaldarti da quel ghiaccio e da quel freddo cuore. Sogna che tu possa capire cosa sia buono e giusto e ti rende contento che poi le altre cose avranno meno importanza. Sogna che domani sarà troppo tardi per il cielo pulito e violetto di un arcobaleno in una stanza. 

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