IL PANCHINARO - Me l'hanno sempre detto che le parole sono una sorta di azioni simboliche, nel senso che le usiamo per creare, prima, ed esprimere poi, la nostra realtà e così quando ho firmato il contratto di calciatore non ci ho fatto caso alla clausola voluta dal mio manager dove c'era scritto "In caso di infortunio il giocatore ha diritto su indicazione medico-fisiatrica a rimanere in panchina per tutta la stagione calcistica percependo comunque tutti gli emolumenti e incentivi di sponsor previsti dall'acquisto della squadra che lo avrà in tutela". Io, mi sono fidato del mio manager ed ho firmato rimanendo in silenzio perché ero disattento e non ero molto interessato alle condizioni, basta che mi pagassero, basta che potessi entrare in un campionato come avevo sempre sognato fin da quando ero ragazzino. Poi durante le prime partite, un giocatore mi fece uno sgambetto, buttandomi a terra e purtroppo mi si ruppero i legamenti crociati che nel mio caso il dottor Cané disse che era facile rompersi perché avevo un ginocchio valgo nel senso che la mia linea di carico passava attraverso il condilo femorale laterale e la testa della fibula. Così dovetti subire un intervento che mi portò a rimanere immobilizzato e a dover rimanere, in panchina. Tutti i giorni, mi alzavo alla stessa ora in cui si facevano gli allenamenti, ma io dovevo fare la fisioterapia, facendo morbidi e delicati movimenti di estensione e di flessione, ed in posizione di flessione di rotazioni brevi di qualche minuto, mentre i miei compagni di squadra si allenavano sul campo correndo e facendo degli affondi, e poi calciando la palla che roteava nel prato con energia. All'inizio questa situazione, mi rendeva nervoso, perché non potevo essere partecipe del gioco e mi sentivo depresso, per il fatto di dovere rimanere a guardare gli altri che potevano fare la loro parte ed esprimersi al meglio nel loro ruolo, ma poi col tempo mi sono abituato alla mia condizione ed ho accettato il fatto di fare il panchinaro, di stare a guardare mentre gli altri giocatori vincono o perdono la partita senza poter fare alcunché per cambiare il risultato. Dopo un po' di tempo, mi annoiavo e mi sentivo malinconico a dover ripetere lo stesso rituale di sedermi impotente su quella panchina come faceva mio padre quando se ne andò in pensione e si era ritrovato improvvisamente a dover gestire il tempo libero di intere giornate. Quando il meteo lo permetteva, lui, come me si recava sulla panchina di un parco a dare da mangiare ai piccioni e a sentire i bambini che giocavano sulle giostrine, mentre lui si leggeva il giornale. Ora toccava a me fare il panchinaro, rimanere zitto, immobile ed impotente su quella panchina statica dove la vita si dissolve e tu scompari assorbendoti a quella struttura fissa del parco che rimane indifferente e riluttante a conoscerti. Infondo chi eri mai, chi sei mai, cosa vali mai se la persona che sei è solo una serie di strisce di legno che si susseguono in un posto vuoto che ti attende? Ti devi fermare, ti devi zittire, ti devi annullare dietro quelle strisce di legno dove verrai fagocitato per sempre fino a scomparire nell'eternità. Così, giorno, dopo, giorno diventi una briciola da regalare ai piccioni, un sacchetto di verità vuote di come eri gagliardo ed ora sei uno scarto, un rifiuto, una cacca di uccello che malauguratamente verrà calpestata con disappunto, che verrà insultata per la sua sensazione di essere inopportuna. Adesso, cerchi di diventare come un camaleonte e di confonderti col giornale che dà sempre le solite notizie di cronaca nera di quel signore che ha confessato di uccidere la mamma strangolandola perché non ce la faceva più a sopportare il carico della cura di un Alzhaimer dove si perde la lucidità, di un processo ad un ragazzo che ha ucciso la fidanzata a coltellate perché non voleva perderla ed aveva paura della solitudine e del silenzio della mancanza, dell'assenza di quello che pensava amore ed invece era solo una misera illusione. Poi vai ai necrologi e ti accorgi che è morto un tizio che conoscevi e che abitava vicino a te ed allora te lo dici quel "Meno male che non è toccato ancora a me", ma mentre lo dici ti si stringono i denti in una smorfia cupa e fredda che ti fa venire i brividi nel corpo raggrinzito dalle rughe e dalle borse della pelle flaccida. Qualche volta parli con qualche passante di turno, ma ti accorgi che ci sono persone messe peggio di te, degli anziani vedovi e soli che non hanno nessuno che si preoccupi per loro, dei giovani che se ne stanno a bighellonare nei bar a fare chiacchiere e a rimanere come te in panchina ad aspettare l'occasione della vita, la fortuna che passa senza avere in mente come vivere. Un giorno passando per la strada ti sei soffermato sulla scritta di un muro che diceva "C'è chi la vita la guarda vivere e c'è chi la vive in sospeso" e ti sei detto "Ma quanto è vera questa cosa, sembra che riguarda un sacerdote che conosco, per cui ogni cosa che legge pare sempre complicata come se dovesse farsi compatire e che non ha altre idee che quelle di ripetere le indicazioni di un altro che non vogliono mai dare soddisfazioni al prossimo, perché infondo sono frustrati e insoddisfatti pure loro. E poi come si fa a credere al Vangelo se non si ha nemmeno entusiasmo e gioia nel trasmetterlo ed è tutto una drammatica questione? Per questo non riesco più ad andare in chiesa, non voglio sentirmi ancor più mortificato e quindi preferisco piuttosto recitare qualche preghiera su questa panchina, tanto se vuole il Signore ti ascolterà dovunque e tanto potrà sedersi accanto a me ad ascoltarmi e a consolarmi dalla mia vecchiaia" Poi guardi l'ora che sembra mai venire, e ti dici che se riesci a fare arrivare almeno mezzogiorno è fatta, hai già passato una parte della giornata e mangiando qualcosa potrai sentirti più rinfrancato. Invece è la notte la più brutta, quando devi cercare di dormire, ma non ci riesci perché certi pensieri ti ronzano per la testa, che sono peggio di certe fastidiosissime zanzare che ti succhiano le energie. Così, per riuscire a dormire ti racconti delle storie che possano calmarti, delle favole fantasiose tanto per attenuare l'ansia e l'angoscia del momento. Mentre te le racconti cerchi di svuotarti la coscienza del consueto misto di sofferenza ed euforia che si crea nella tua anima avvilita e smorzata. Tu ora ti chiami Alessandro che tenta di raggiungere la serenità e la liberazione e di bloccare le inquietudini di scimmia che imita le movenze del vento in modo da eludere le preoccupazioni e le ambizioni di essere a posto, ma invece è indotto ad esaminarle, districarle e affrontarle. Che strano che la mente di Alessandro non faccia altro che ripetersi a pappagallo quello che gli ha detto qualcuno che ha in debito conto sociale, che ha letto su un qualche libro, che ha sentito dire non so dove; rimembranze più che altro di scuola. Che motivo ha Alessandro di essere ansioso in questo momento? E' che si sente continuamente minacciato da preoccupazioni ed incertezze di dover guidare l'auto per arrivare fino a Milano a partecipare ad un convegno sulla democrazia dove si sente impreparato e dove come faceva a scuola si è scopiazzato qualche appunto qua e là di pezzi presi da una parte e da un altra di ragguardevoli autori facendone un collage dopo averli setacciati da testi intricati e complicati che ha trovato in una biblioteca e su internet. Ma Alessandro non ha mai avuto una buona dialettica e si sentirà impacciato ed impedito a dover intervenire in quanto non conosce la molteplicità dell'essere parlante, la realtà del movimento di pensiero e la saggezza di distinguere un termine da un altro, una questione da un altra in quanto più che altro studia a memoria, a ripetizione ed a suggestione simboliche di fumetti di indicazioni ed istruzioni. Ma così facendo poi viene beccato in contraddizione nella sua autenticità di avere elaborato i dati e le conoscenze facendole diventare proprie e trasformandole in carattere che lascia una traccia nel cervello e nella comunicazione relazionale con gli altri e quindi cade in errore, in inganno, in illusione ingenua della brava persona senza sbavature di sorta e perciò non riesce mai a superare e risolvere l'ostacolo della sua stessa negazione fra concetto e realtà di fatto. La contraddizione infondo dovrebbe rivelargli la sua funzione dinamica, quanto alla natura inorganica, nel mutamento continuo delle cose finite, onde all'infinito esse si fanno altro da quelle che si era studiato e letto, in quanto sono state comprese ed applicate in maniera differente, sviluppandole nello svolgimento dello studio e del lavoro come un procedimento relativamente autonomo del suo pensiero che si fa condizionare dallo spirito che è la storia universale e arriva fino alla consapevolezza del sé come razionalità, fede, amore e libertà. Oh poveretto, è davvero messo male quasi come un povero disgraziato che stagna su quella panchina del parco ad attendere che arrivi il mezzogiorno per poter mangiare e dirsi che anche questa volta è sopravvissuto fra i sopravvissuti del naufragio dell'esistenza fra le onde burrascose della indecenza. E comunque lo sa che se verrà interrogato non saprà cosa rispondere di azioni fatte, in quanto sono spesso banali, superficiali, meccaniche, ripetitive e senza senso. E infondo, perché mai Alessandro dovrebbe sapere il motivo per cui Garibaldi organizzò la spedizione dei Mille nel Regno delle 2 Sicilie? Basta che si ricordi dell'espressione "obbedisco" a quell'ordine impartito da una autorità, di diligenza, di disciplina e di organizzazione che il resto conta poco: quando nacque, quando morì, tutto quello che fece si riduce all'obbedienza all'indipendenza ed ilò resto è mancia per qualche storico di turno che ti mette il brutto voto in quanto sei stato scarso a non raccontare tutte le sue peripezie e i suoi atti eroici. E chi si ricorda della storia di Garibaldi, chi mai se ne interessa quando arriva la vecchiaia se deve rimanere seduta e impoverita su una panchina, ci sono già abbastanza i nomi delle vie, delle piazze, ci sono già abbastanza lapidi e statue a ricordare l'eroe, ma non a ricordare la sua obbedienza alla coscienza democratica fino alla morte, al sacrificio e alla fede della patria e della libertà. Garibaldi è seduto su una panchina a guardare la vita che passa e che nel libro di storia si annoierà facendo sbadigliare persino i piccioni che si addormenteranno alla malinconica soporifera storicità.
IL TALENTO DI AMARE. Io non conosco ancora molto bene l'amore ed è per questo che a volte non riesco a distinguerlo in mezzo alla gente che incontro lungo la via. L'amore chiede conto a ciascuno dei doni che egli affida, attraverso intuizioni convincenti o meglio postulazioni assunte come principi di dimostrazione o ancora testimonianze degne di fiducia. L'amore è una rivelazione di qualificazione che viene scritta nel mondo e nella storia, ma io non ho nessuna qualifica per poterlo dimostrare perchè sono una semplice viandante continuamente in cammino. Io però mi sono lasciata trasportare da una parola chiave che è la parola talento che era una unità di misura che riguarda la Chiesa in cui la manifestazione della Fede è una norma di credibilità del valore che non è proprio ma è di una funzione di una totalità che si esprimono nell'adesione a Dio con specifico riferimento del Cristo fatto uomo nell'accezione di proposizioni o dogmi o istanze che li definiscono. L...
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