SOLA MENTE. Lo so di essere una mente perdente e che la società è invece sempre più interessata ai vincenti che paiono i più resilienti, ma so anche per esperienza personale che i temi del successo e del fallimento sono affrontati spesso in maniera retorica che non risolve alcunché ed è da questo che nasce la rabbia, il senso di risentimento, di astio e di rancore. Di chi è la responsabilità principale del successo o del fallimento? Esclusivamente del diretto interessato che si ritrova in una vera e propria catastrofe. Non c'è alcuna consolazione metafisica, nessuna cattiva sorte e nessuno da incolpare se non se stessi. La meritocrazia talvolta caro Valditara trasforma il fallimento da circostanza sfortunata a verdetto incontrovertibile e questo lo sa bene un Magistrato che deve studiare la natura dei delinquenti nei loro profili criminali. Il Magistrato però cara Cartabia, non può vedere tutto nero o tutto bianco, nel senso che chi è condannato a non ottenere ciò che merita e a non poter realizzare i propri sogni e desideri infondo se lo è meritato, e chi invece è riuscito nel proprio intento ha lavorato duro e si è comportato bene quando poi ci si accorge che lo status di una persona non è affatto un indicatore affidabile dato che molti delinquenti prima venivano definite brave persone, persone che sembravano rispettabilissime e dalle quali non ti aspetteresti mai gesti crudeli e cattivi. Si dovrebbe cercare di affinare meglio la cultura di Eschilo, Euripide, Sofocle che raccontavano storie di donne e uomini essenzialmente rispettabili, onesti, intelligenti, che a causa di un piccolo e comprensibile errore o di un'omissione, scatenavano vere e proprie tragedie tanto che in un breve arco di tempo morivano o finivano in rovina. Il mondo in cui questi tracolli venivano narrati puntava a lasciare gli spettatori attoniti nel riconoscere quanto facilmente una vita potesse essere annientata e come un piccolo errore potesse condannarci a pagare il prezzo più alto. Invece un certo Gesù caro Cristian Squadrani, inverte completamente le sorti umane che paiono destinate alle pene del supplizio e dopo aver letto il brano di Isaia che afferma che i ciechi vedranno e ci sarà un nuovo giorno del Signore, afferma con sicurezza che questo fatto sta già avvenendo nella sua persona e tutti gli astanti rimangono sconcertati e scandalizzati da tale annuncio perché come per i greci di Sofocle non riescono a credere che il figlio di un falegname e di una famiglia povera di seconda categoria possa avere un brillante destino ed è per questo che tutti quelli che sono di rango superiore, che sono i prediletti dal destino si sentono in grado di emettere giudizi lapidari e poi si permettono di liquidare su 2 piedi Edipo, Medea, Antigone ed Elettra con il termine tremendamente dannoso di perdenti. Invece, Gesù fa comprendere che c'è una categoria di persone di gran lunga più nobile, dignitosa ed umana dietro una tragedia come quella della condanna di una croce crudele ed ingiusta e che tale condanna non fa perdere il diritto all'empatia e soprattutto alla misericordia e di questo dovrebbero ricordarsi i magistrati. La tragedia è un resoconto giornalistico che deve fare comprendere ed insegnare meglio che di rado veniamo ricompensati adeguatamente per le nostre virtù o paghiamo un prezzo equo per i nostri errori in quanto siamo tutti gente più o meno innocente e più che altro confusa dalle nostre stesse debolezze che può essere travolta da eventi scioccanti. Non abitiamo in un universo propriamente morale in quanto spesso la catastrofe si abbatte su chi non poteva certo aspettarsela come la povera Sharon Verzeni che ci ricorda (purtroppo) che la tragedia ed il fallimento dei buoni propositi non è riservato solamente alle cattive azioni. Dobbiamo rispettare la dignità umana comunque cari giornalisti e non dobbiamo renderli strumenti di derisione e di scherno perchè il vero scopo della tragedia è quello di incoraggiarci ad applicare uno sguardo più complesso sui travagli di chi ci sta accanto e soprattutto su noi stessi. Il sovvertimento di Cristo è invece quello di vedere nella debolezza un punto di forza ed è per questo che in primo luogo dobbiamo compilare una lista dei nostri punti di forza che sono dipendenti anche dalle nostre debolezze che provocano poi irritazione ed esasperazione specie se diventano intransigenza e pedanteria. La tragedia ci ridimensiona infondo e va raccontata in tale senso, in modo tale che non restiamo superficiali a basarsi solo su dati esteriori senza considerare le caratterizzazioni dei personaggi, senza dettagliare meglio i loro profili e le loro vite. Un magistrato una volta mi ha detto che la cosa che le aveva dato più fastidio una volta era quella che la tragedia che aveva dovuto subire a causa di un trauma che l'aveva sconvolto la vita fosse passata per chiacchiere senza dare invece il significato alla storia del duro fato che in un lampo la sua vita si potesse trasformare in catastrofe e senza pensare che la vera tragedia era che il trauma le aveva posto davanti la sensazione di abbandono e di vuoto e quindi che ora affrontasse sia il suo lavoro che la sua esistenza con maggiore difficoltà e disagio e che avvertisse ancor di più l'imbarazzo di certi sguardi e di certe considerazioni silenziose che le potevano fare, senza magari rendersi conto che non era di alcun conforto sfogarsi con qualcuno specie se poi quel qualcuno non riesce a farci capire che non è un bene isolare solo i nostri guai e dimenticare il lato relativo che li riscatta realmente e finitamente e cioè la giustificazione di Cristo che noi siamo fatti per amare comunque ci ritroviamo ed è questa la fantastica forza che abbiamo a nostra disposizione e che non dobbiamo sprecare. Noi siamo fatti per amare ed è questo di cui dobbiamo essere convinti, questo che ci rende forti anche nella debolezza della disgrazia: l'amore ci rende persone libere, persone in grado di superare qualsiasi croce e disagio.
IL GERARCA - Guardandosi intorno alla stanza dove si era rinchiuso per ripassare la sua parte attoriale politologica, si rivedeva in quel pubblico elettore. Dapprima c'era quel bambino timido sognante che rimaneva come estasiato da raggi radiosi di un utopia, poi c'era l'adolescente che si doveva confrontare con il disincanto della sfida dell'esperienza quotidiana ed infine c'era l'adulto che aveva a che fare con la complessità e la problematicità ed il relativo carico di cifre demoniache di nome azzardo, avventura, scacco, sconfitta e naufragio. Egli, per tale motivo, avrebbe tanto voluto attuare il compito di porsi a livello critico nell'argomentazione deduttiva, ponendosi un itinerario popolato di sintesi delle normative in cui era difficilissimo e alquanto complicato orientarsi per poter raggiungere dei risultati quanto meno decenti. Tuttavia, a livello organizzativo era molto complesso costruire forme di conciliazione/integrazione delle forme antinomic...
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