All'Istituto Alberto Marvelli. CHIAMAMI GIUSTIZIA. Salve, sono la signora Giustizia e non riesco mai a mantenere un equilibrio fra il diritto naturale, inteso come quella parte della morale considerata assoluta ed eterna che riguarda il campo delle azioni giuridiche, ed il diritto positivo che riguarda la razionalità che dovrebbe costruire dei modelli sulla cui base formulare le leggi e giudicare la loro validità così come il vero valore umano. In me, perciò, si genera sempre un conflitto che toglie legittimità alla pretesa di obbedienza avanzata dal diritto positivo, e perciò si creano forti dissidi sugli atteggiamenti da assumere verso il non diritto ingiusto: se resistenza attiva o se passiva della rassegnazione. In questa estrema versione convivono in me 2 elementi distinti: una concezione assoluta e statica della morale ed una tendenza a giudicare la giustizia o l'ingiustizia dei diritti positivi, attribuendo o negando loro il titolo onorifico di diritti spettanti all'individuo. La seconda questione, però, potrebbe venire accantonata come una questione solamente di carattere terminologico; non ha importanza infatti se si chiama un ordinamento "diritto, ma ingiusto" ovvero "non diritto perché ingiusto" è invece più importante stabilire dei criteri oggettivi ed eterni di giudizio morale sul diritto positivo, che possano essere conosciuti da tutti e quindi dichiarati veri. Dimostrare però cosa sia vero è a volte difficile specie nel trovare dei riferimenti di autoevidenza della ragione, dei principi di diritto naturale che possano portare a degli equilibri o meglio a degli accordi; altro mezzo invece è il ricorso all'intuizione o senso morale di ciascuno e ciò dovrebbe essere un insegnamento costante e ripetuto nelle diverse società in cui le norme di non uccidere, non rubare, non calunniare, non agire in maniera violenta e perversa e non dire falsa testimonianza o danneggiare il prossimo con atti vandalici sono le principali norme per il rispetto di un etica e di una deontica comune. In tempi moderni, si tende a fare ricorso alla questione della buona creanza o meglio ad una consapevolezza che mette in rilievo maggiormente la razionalità e l'amministrazione delle risorse in maniera moderata e ponderata. Il principio perciò di dare a ciascuno il suo, non dice niente sui criteri che decidono che cosa ciascuno debba naturalmente considerare suo e perciò si delinea una estrema difesa dell'oggettivismo etico perché nel tempo il diritto naturale diviene mutevole e quindi possono cambiare i contenuti del diritto nei diversi tempi e luoghi. Il diritto naturale, allora, si identifica con una critica che consideri la variabilità e soprattutto il rischio delle ideologie di ciò che possa essere giusto fare a livello pratico e soprattutto economico nelle società. Si fa fatica ed è alquanto oneroso poter trarre valide conclusioni prescrittive o valutative dalla descrizione del fatto che certe norme morali siano diffuse in tutte le società, quando i valori del diritto che si debbono rispettare sono sempre relativi e spesso, purtroppo di posizione poco significativa, che lascia del tutto aperto il problema più importante di trovare validi fondamenti dell'etica e dei valori usati che per consuetudine servono a giudicare il diritto. Per fare questo bisognerebbe creare una corretta congiunzione fra giustizia e misericordia in cui si creano atti che intendono trasformare l'uomo da una condizione inferiore di peccatore a quella di giusto. Ma il problema sussiste nel stabilire l'ontologia della trasformazione che nella assoluzione trova un passaggio di conversione iniziale per cui non si imputano più i peccati, ma i meriti di Cristo creando una riconciliazione fra la benevolenza divina e la santificazione nell'interno del credente. Causa formale della giustificazione è la giustizia di Dio e non in quanto egli è giusto, ma in quanto ci fa giusti che ci fa comprendere che si deve rendere perfettamente ragione ad una realtà essenzialmente relazionale, che proprio in quanto comunione, modifica gli interlocutori pur lasciando intatta la distanza ontologica tra uomo e Dio de la differenza dei ruoli: potenza creatrice e signoria da parte di Dio, obbedienza e fede da parte dell'uomo. Chiamami Giustizia, solo se comprendi a quale grande amore sei stato chiamato e sai dare valore ad ogni istante di vita custodendolo e tutelandolo in ogni sua parte.
IL GERARCA - Guardandosi intorno alla stanza dove si era rinchiuso per ripassare la sua parte attoriale politologica, si rivedeva in quel pubblico elettore. Dapprima c'era quel bambino timido sognante che rimaneva come estasiato da raggi radiosi di un utopia, poi c'era l'adolescente che si doveva confrontare con il disincanto della sfida dell'esperienza quotidiana ed infine c'era l'adulto che aveva a che fare con la complessità e la problematicità ed il relativo carico di cifre demoniache di nome azzardo, avventura, scacco, sconfitta e naufragio. Egli, per tale motivo, avrebbe tanto voluto attuare il compito di porsi a livello critico nell'argomentazione deduttiva, ponendosi un itinerario popolato di sintesi delle normative in cui era difficilissimo e alquanto complicato orientarsi per poter raggiungere dei risultati quanto meno decenti. Tuttavia, a livello organizzativo era molto complesso costruire forme di conciliazione/integrazione delle forme antinomic...
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