All'Istituto Alberto Marvelli a Gabriele Trivellin - SOLA MENTE - Sono una mente sola, tremendamente sola e triste che vive dentro un baratro dopo la morte della mamma e che guardandosi attorno non può far altro che avvertire manifestazioni di forte ansia che possono spaziare dalla leggera apprensione a veri e propri attacchi di panico ed a insensate fobie. Poiché l'ansia influenza la vita di tutti, anche se in misura minima, chiunque può trovarsi in crisi a doversi barcamenare e destreggiare nelle prove quotidiane in cui viene messo con le spalle al muro, di fronte a possibili fallimenti, a sconfitte ed a prove che possono sbaragliare in un battibaleno la propria autonomia e capacità di miglioramento e di autogestione. Il primo punto critico che spesso mi sono ritrovata ad affrontare nel mio percorso terapeutico e nelle mie esperienze sia lavorative che di vita è stato quello del processo cognitivo di apprensioni più che altro fondate su pensieri negativi e dati da un'errata interpretazione di sintomi fisici ed idee pessimistiche riguardanti il potenziale pericolo di situazioni quotidiane normali. Il secondo punto critico che poi mi sono ritrovata ad affrontare era dovuta a stimolazioni fisiologiche eccessive che successivamente degeneravano in attacchi di panico e ciò comportava di dover allenarmi secondo la disciplina di nuove strategie comportamentali se no mi veniva spontaneo fuggire e nascondermi e ciò escludeva la possibilità di non lasciarmi condizionare dalla prima reazione ansiosa e di valutare il livello reale di pericolo di ogni situazione con più calma e ponderatezza. Dopo avere compreso queste cose, mi sono resa conto che la mia vera solitudine, non era data dalla sensazione di vuoto che provavo, per il fatto che non ero molto ricercata e che non avevo molte persone che si preoccupassero per me, ma che era data più che altro dalla paura di dover diventare dipendente da uno psicofarmaco che mi avrebbe resa come uno zombie e che certamente mi avrebbe tranquillizzata, ma poi non mi avrebbe tolto dalla sensazione negativa di non valere molto e di dover finire per morire da sola e senza alcun conforto o il pensiero di aver lasciato un buon ricordo di me attorno e che la mia vita fosse stata una traccia utile per qualcun altro che mi avrebbe seguito nel tempo e che si sarebbe potuto servire della mia esperienza come insegnamento ed anche come cura terapeutica di percorso per superare determinati ostacoli come quello dei fallimenti e delle sconfitte che ci può riservare l'esistenza e per i quali noi siamo deboli e mai abbastanza forti nemmeno con una fede che ci supporta se non sappiamo cosa significhi la parola conversione e non l'abbiamo mai effettivamente sperimentata. La conversione per riuscire a cavarsela significa voler cambiare dentro ed è questo che ci indica oggi nella lettura del Vangelo Gesù quando egli venendo criticato aspramente dagli scribi del tempio perché sia lui che i suoi discepoli non osservano certe regole e virtuosismi egli risponde che prima di tutto bisogna conoscerle nel profondo le regole ed anche la disciplina perché non sono certo le cose esteriori che possono contaminare l'essere umano, ma sono quelle che provengono da dentro che ci rendono cattive persone ed è per questo che il primo passo da compiere per il cambiamento è quello di fare un vero e proprio elenco dei possibili benefici che si vogliono ottenere dal lavoro che si effettuerà su se stessi. Conoscerli caro Francesco Ramberti può davvero rafforzare le motivazioni ed il desiderio di cambiare perché è normale credere che a nessuno piaccia essere ansioso e pauroso, ma talvolta possono anche esserci dei vantaggi. Infatti, se non otteniamo un qualche beneficio da un certo comportamento, normalmente smettiamo di comportarci in quel modo ed è per questo che non possiamo rinunciare all'ansia o alla paura, perché dobbiamo in un certo senso renderle nostre alleate per modo tale da non perdere quei benefici che derivano dai suoi sintomi. In alcuni casi cambiare caro don Vittorio significa dover affrontare e gestire problemi che stanno alla base dei sintomi per cui poi la mente chiede aiuto in quanto ha bisogno di riposo e di tregua. Gli attacchi di panico possono costringerci così come le folle paure di fallimento dei nostri intenti e tentativi di raggiungere ragguardevoli obiettivi a trovare delle particolari attenzioni da coloro che ci circondano e l'aiuto di cui abbiamo bisogno come probabilmente è accaduto a Moussa Sangare di fronte alla sua preda Sharon Verzeni che passava di lì nel momento più critico della sua esistenza, quando questo giovane sbandato aveva un forte bisogno che qualcuno si prendesse cura di lui ed era per questo che brandiva un coltello dopo essersi esercitato con una sagoma, come tutte le sagome che aveva incontrato fino a quel momento e che (secondo lui) gli avevano fatto delle false promesse che avrebbe avuto uno speciale spazio per poter esprimere i propri sentimenti e per potersi sentire realizzato, quando invece, fino a quel momento non era mai stato molto ascoltato nemmeno dalla madre e dalla sorella che non lo avevano mai motivato dato che lo avevano invece sempre messo di fronte ad una cruda ed invivibile realtà di impossibile integrazione di mancanza di ritrovamento di carità umana, di comprensione, di affetto sincero quando tutti lo vedevano soltanto come uno straniero ed un pezzente e non ci tenevano a dare una svolta alla sua esistenza e lui in alcun modo avrebbe mai avuto l'opportunità di potersi distinguere se non uccidendo per poter emergere da quel caos che aveva nella testa e che lo martellava di giorno in giorno. Ma che ne sanno infondo i giornalisti di una mente sola? Che ne sanno gli indagatori e gli psicanalisti? La vedono solo come un oggetto di studio di quegli oggetti che gli scribi ed i farisei dovevano pulire e purificare e non comprendono che invece è una forma di cultura che si dibatte per riuscire ad emergere e a diventare come una lampada che illumina tutta la casa, a diventare come il sale che dà sapore ad ogni cosa che la circonda, a riuscire a diventare come una moneta preziosissima che desidera ardentemente essere ricercata e ritrovata nei meandri nascosti dell'inconscio.. Che ne sanno i commissari di polizia di una mente che si sente abbandonata a se stessa? Loro sono lì solo per raccogliere le prove per poter condannare il carnefice di turno, loro sono lì solo per poter fare in modo che giustizia sia fatta, quando invece nessuno poi potrà mai riportare indietro una vita innocente e nessuno restituirà mai pace ad una famiglia distrutta da un delitto di un anima innocente e quindi che ne sanno costoro di un anima disperatamente sola e triste che ha perduto per sempre la dignità di se stessa e pure la stima? No vi dico costoro non lo possono affatto sapere e capire, perché devono incarcerare un malfattore, un criminale e non invece fermare il suo pensiero, farlo riposare, farlo ascoltare. Piuttosto che giudicare, bisogna immaginarsi chiaramente come ci si sente a non riuscire mai bene in nulla, come ci si sente ad essere scalzati ogni volta da qualcuno che è migliore di noi in tutto e quindi bisogna immaginarsi coinvolti in situazioni difficili e complicate che ci pongono di fronte alla decisione di come dobbiamo reagire, di come vogliamo sentirci se le dobbiamo affrontare e soprattutto quali risultati vorremmo ottenere se dopo tanti sacrifici, rinunce e prove comunque ritorniamo nel fango, nel dimenticatoio, nella povertà o peggio nella banalità di una quotidianità scontata e senza alcuna svolta. Pensateci bene come vi sentireste se potevate essere un repper come Moussa Sangare ed invece vi siete ritrovati perone qualunque fra sagome qualunque che nessuno vede mai, degli invisibili che nessuno noterà mai e che hanno una vita svilita in ogni loro parte. Come vi sentireste se tutto ciò che avete fatto finisce in un eterno rifiuto, finisce dentro ad una fossa? Che ne sapete voi di come si sente una mente abbandonata?
IL GERARCA - Guardandosi intorno alla stanza dove si era rinchiuso per ripassare la sua parte attoriale politologica, si rivedeva in quel pubblico elettore. Dapprima c'era quel bambino timido sognante che rimaneva come estasiato da raggi radiosi di un utopia, poi c'era l'adolescente che si doveva confrontare con il disincanto della sfida dell'esperienza quotidiana ed infine c'era l'adulto che aveva a che fare con la complessità e la problematicità ed il relativo carico di cifre demoniache di nome azzardo, avventura, scacco, sconfitta e naufragio. Egli, per tale motivo, avrebbe tanto voluto attuare il compito di porsi a livello critico nell'argomentazione deduttiva, ponendosi un itinerario popolato di sintesi delle normative in cui era difficilissimo e alquanto complicato orientarsi per poter raggiungere dei risultati quanto meno decenti. Tuttavia, a livello organizzativo era molto complesso costruire forme di conciliazione/integrazione delle forme antinomic...
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