Ogni riferimento a fatti e persone esistenti è puramente casuale e frutto di invenzione.   SPIGHE DI LUCE. Fine di ottobre la signora Stasi Luisa viene sottoposta ad un indagine di Tac presso l'Ospedale S. Orsola-Malpighi di Bologna ed il suo referto afferma "Fegato di dimensioni superiori alla norma, in particolare a livello del lobo sx, dove è apprezzabile bombatura del profilo inferiore e disomogeneità ecostrutturale in rapporto alla presenza di una formazione ad ecostruttura disomogenea, ipoecogena, peraltro a contorni mal definiti, difficilmente delimitabile dal circostante parenchima epatico, del diametro massimo di circa 96 mm. La formazione descritta appare di non univoca interpretazione e si presume possa trattarsi di angioma cavernoso. A livello del VI/VII segmento si apprezza immagine tenuemente iperecogena, del diametro massimo di 2 cm, riferibile ad angioma capillare. Vie biliari intraepatiche e via biliare principale di calibro regolare. Colecisti ben distesa, alitiasica. Pancreas e milza eumorfici. Reni bilateralmente in sede, di dimensioni nei limiti di norma, con regolari indici parenchimali. Non segni di idronefrosi bilateralmente." Apparve subito chiaro che la signora Stasi dovesse subire un intervento chirurgico al fegato che è la più voluminosa ghiandola esocrina del corpo umano, ma apparve anche evidente che la paziente con quel tipo di ingrossamento potesse avere dei seri problemi al diaframma di dx, ma siccome, poi, il suo fegato era particolarmente lungo esso si spingeva sino alla sede sottodiaframmatica sx e così la signora in questione aveva dei problemi anche all'emidiaframma sx. La signora era in tensione e particolarmente agitata perché non solo sarebbe stata assente dal suo lavoro di infermiera in un reparto di infettivi, ma sapeva che la sua vita non saprebbe mai più stata come prima e che avrebbe avuto dei problemi intestinali specie a livello di escrezione e di raccolta della bile nei condotti che poi producevano poca bile a livello del duodeno. C'era, quindi in Luisa molta preoccupazione per il suo avvenire e su come sarebbe stata la sua vita post-intervento perché sapeva per certo che niente sarebbe stato più come prima e che lei avrebbe avuto sempre dei problemi addominali, oltre al fatto che sarebbe rimasto il segno del solco della ferita nella sua pancia. Così raccontò l'accaduto per prima ad un frate di cui era amica e che era non vedente e quindi da anni soffriva e si era adattato a vivere in una condizione disagiata e menomata, e lo raccontò perché sapeva che avrebbe avuto da lui non solo comprensione e vicinanza, ma anche una risposta che non era solo di prassi ed inerente alle circostanze, ma una risposta illuminante su cui avrebbe potuto riversare la sua speranza. "Mia cara Luisa, - le disse fra Cristino - io ho imparato ad apprezzare quello che posso avere e quindi ad accontentarmi di poter camminare e muovermi, di poter annusare i profumi della natura e delle persone che incontro, di sentire i rumori capendo da dove possano provenire, di toccare con mano le cose e indovinare come possono essere coloro che incontro nel mio cammino perché sai, non c'è buio più grande che cadere nel baratro della disperazione, non c'è cosa più brutta che non saper vivere la vita con dignità e solerzia, anche se si è disabili e menomati. Lo so, quando ti tolgono un pezzo di organo, quando ti incidono e ti praticano un intervento è come se perdessi una parte di te stessa, ed in effetti è così: tutto di noi è una parte importante e lo è specialmente il fegato in cui molti metaforicamente raffigurano il coraggio e la forza per tirare avanti e di ricominciare ogni volta, anche se le cose non sono andate bene e sei rimasto sconfitto ed oppresso. Comunque, io ho dovuto imparare ad adattarmi ed anche tu dovrai farlo seppure sarà difficile e complicato e poi pensa a Gesù sulla croce che è stato trafitto e che ha patito per tutti quanti noi e così non ti sentirai mai sola e potrai superare molti ostacoli anche senza luce, anche se vai a tentoni" Luisa se ne andò addolorata, seppure sapeva di avere accanto un amico che avrebbe pregato per lei, che tutto andasse per il meglio. Perciò Luisa, tornando a casa non aveva altro che voglia di piangere e di rinchiudersi in camera da letto e rimanerci, ma poi pensò che fosse meglio, invece, cominciare a scrivere un diario "Oggi mi ritrovo davanti al mio stesso dolore, - scriveva con amarezza - che mi fa riflettere sul senso della mia esistenza che sento ora più che mai essere un nulla di fronte all'infinito, così come sento che il mio corpo ammalato non è altro che un grossolano antropomorfismo, che proietta in Dio il suo possibile miracolo per poter sopravvivere e rialzarsi nonostante l'ennesima batosta, l'ennesima negativa sentenza di infausta salute. Spero almeno, se mi dovesse andare male di finire al Purgatorio e che abbia avuto in vita qualche piccolo merito per poter avere l'opportunità di purificarmi, ma già da ora comunque dovrò imparare la virtù di seguire strette regole di alimentazione, di vita sobria e diligentemente attenta agli eccessi e poi dovrò anche avere maggiore rispetto per il mio corpo, cercando di mantenere un equilibrio sia organico che mentale. Questa malattia mi insegnerà ad ascoltare meglio le necessità del corpo di riposo, di dignità, di avvedutezza e di prudenza e mi farà maturare allontanandomi dal male e dall'oppressione e cercando di cogliere tutti i beni che mi si presentano di fronte. Forse ha ragione fra Cristino, forse dalla malattia e da un disagio fisico e corporeo si può imparare ad apprezzare quello che abbiamo, e a saper trovare il bello nelle piccole cose, nei gesti sentiti di condivisione. Forse potrò farcela proprio per questo: se saprò superare il dolore con la convinzione che ho davanti molte altre cose da poter donare anche se non avrò molta energia e che lo posso già fare a partire da adesso, dicendo al mondo che possiamo essere spighe di luce che nel campo dell'esistenza fanno maturare il pane della vita." 

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