LA SINDROME DELL'IMPOSTORE. Incominciò così, il percorso di Elio che doveva affrontare una querela improcedibile, più che condizionata di punibilità. La presentazione di detta querela riguardava sua madre, che lo aveva sempre tenuto come un bambino, quando invece come donna mancava di qualcosa a livello dell'immagine del corpo, che aveva trasmesso a lui rendendo fantasmatica nell'immaginario del figlio di qualcosa che potesse mancare anche a lui, per quanto era inerente la questione della sua virilità e del funzionamento dei suoi organi genitali. Anche Lacan oppone maternità e femminilità e pensa che la maternità sia qualcosa che venga a riscoprire la questione della femminilità, e questo lo si sente ogni giorno nelle cure analitiche e nemmeno la madre di Elio si sottraeva a questo dato di fatto, in quanto spesso diceva "Sono stata una madre per tutta la vita, con i miei bambini e persino con mio marito. Ora che i miei figli sono diventati adulti e che si sono allontanati da me per fare la loro vita e mio marito ha voluto il divorzio l'unica cosa che mi è rimasta da fare è portare avanti il mio mestiere di maestra". Infondo, il corpo di quella madre ed anche quello di Elio non voleva conoscere, per una forma di smodato pudore e velleitaria vergogna il godimento fallico. D'altronde, su consiglio di una neuropsichiatra Elio teneva un diario dove scriveva il suo disagio con il corpo, confessandolo apertamente così "La mia relazione con la neuropsichiatra è particolarmente difficoltosa, come è sempre stato disagevole per me avere qualunque rapporto con le donne in quanto, ho imparato fin da bambino che dovevo compiacere prima i miei genitori ed in particolare la "signora maestra" mia madre e poi la gente di chiesa che lei frequentava, in modo da assicurare alla nostra famiglia ammirazione, stima e rispettabilità, ma in realtà io in questo ruolo morigerato, mi sono sempre sentito inautentico e inappagato, e quindi mi sono spesso tirato indietro di fronte alla possibilità di poter avere qualche rapporto sessuale con qualcuna. In verità, non credo di essermi mai veramente innamorato, almeno profondamente e così, appena scoprivo in me o nel patner un difetto che a me sembrava insormontabile, specie dal punto di vista psicofisico, allora mi scoraggiavo in maniera abnorme e ciò mi indiceva a stroncare la storia. Per questo mi sono trovato molto solo ed anche triste. Mi sono reso conto, che ho molte più cose in comune con la mia terapeuta che né con mia madre e che in casa, infondo, recitavo solo una parte ed ero come il burattino di Pinocchio che sa bene raccontare le bugie, ma in realtà in me il desiderio era forte a livello di appartenere e farmi appartenere a livello della sessualità. Senza volerlo, nell'ufficio del psicoterapeuta, finalmente mi sono sentito un uomo libero e più disinibito e ho potuto ricoprire il ruolo che mi si addice e che è su misura per me. Posso essere seducente, ma distaccato, posso tendere all'idealizzazione per non manifestare un forte desiderio di fuga dalla sensazione di essere un rospo che non si tramuterà mai in principe azzurro, posso avere l'educazione "sporcacciona" senza che qualcuno per tale motivo mi disprezzi. So che in presenza della neuropsichiatra queste mie tendenze, possono essere osservate, frenate, discusse, esplorate con una certa empatia e - nelle manifestazioni più dannose - superate insieme e in accordo, ma vorrei che non tutto di me venisse svelato come in una cartina al tornasole, ma che rimanesse qualche zona di mistero da accettare, in base ad una rinnovata consapevolezza, che migliorare il modo con cui generalmente gestiamo i rapporti, orientandoli verso una maggiore dolcezza e gentilezza, fiducia, autenticità e disponibilità alla collaborazione, non significa affatto togliere la curiosità di conoscere qualche altro tassello in più della nostra essenza interiore. So benissimo che ho sbagliato (e me ne pento amaramente) a rimproverare la mia neuropsichiatra per un atteggiamento che ritenevo troppo libertino, quando ero io che in realrà dovevo sciogliere le briglie della mia rigidità, ma ora che so che ella intendeva fornire importanti informazioni sul mio carattere, che ho diritto di conoscere e di scoprire, non la ostacolerò e nemmeno la osteggerò più, lo prometto. Infondo, anche se a me pareva il contrario, la neuropsichiatra voleva farmi notare con delicatezza che reagivo impropriamente come se fossi attaccato, quando invece era stata solo fatta una ipotesi o espressa una probabilità. Aveva ragione lei, quando mi ha richiamato a farmi capire che avevo voglia da tempo di poter fare colpo su una donna, accennando non solo alla mia situazione economica (che pensavo mi facesse apprezzare di più), o alla mia tendenza a concordare immediatamente con lei altre ipotesi che ella ha solamente alluso o abbozzato solo per sentirmi superiore a lei o per dimostrarle che so assumermi le mie responsabilità e difenderla, senza per questo rendermi conto che la infastidivo nel suo nobile compito. Perciò faceva bene la neuropsichiatra a segnalare i casi più critici, in cui i pazienti sono inclini ad attribuirgli atteggiamenti ed opinioni che in realtà non ha per mettersi sulla difensiva e sminuire il valore del percorso terapeutico, solo per il fatto che non si vuole deluderlo, non si vuole risultare noiosi, e soprattutto e più di tutto che non si vuole ammettere che troviamo ripugnante il nostro modo di affrontare la sessualità specie se siamo frigidi, se non abbiamo capito ancora la nostra identità sessuale e se non vogliamo confessare la nostra ritrosia e repulsione verso il farci toccare da qualcuno specie in zone erogene. Io, adesso, me ne rendo conto. solo adesso me ne rendo perfettamente conto che non posso più avere il ruolo che avevo da bambino di farmi condurre per mano da mamma e papà, ma che devo crescere, maturare e che non posso nascondermi dietro un altra "madre maestra" che mi insegna come agire assegnando questo ruolo che ho appreso dal passato alla neuropsichiatra, cercando in lei le origini di questo mio atteggiamento, no non posso davvero permettermi di farlo, perché come diceva san Paolo, quando siamo bambini parliamo ed agiamo come i bambini, ma quando siaml adulti dobbiamo renderci conto che siamo cresciuti e questo comporta essere autonomi ed indipendenti, comporta assumersi dei rischi anche nello sbagliare o commettere corbellerie, comporta sopportare alcuni pesi, sacrifici e rinunce necessarie per la questa relazione con lei che non mi rispondeva mai come faceva la gente comune, che riusciva ad avere pazienza anche se io (pur asserendo di esserle amico) non prendevo mai l'iniziativa di scriverle, di salutarla per primo, di interessarmi a lei in qualche modo, ma anzi la rifuggivo come un cretino, comunque ora che lei tace sento di avere un vuoto enorme dentro, una voragine da colmare che solo l'amor suo nel mio può fare, ma io non so nemmeno se ho mai amato. Perciò, lo ammetto io devo essere aiutato a comprendere la mia immaturità, avendo una relazione sana, in cui imparo a non imporre mai più, mai, mai più i miei preconcetti, ma imparo piuttosto ad ascoltare meglio e a comprendere una realtà più ampia della mia piccola aia, un mondo più aperto senza provare né imbarazzo e nemmeno vergogna se qualcuno scrive la parola "fixa" (si può scrivere perché era riferentesi ad un caso di uno studente) oppure se qualcuno si esprimono con uno scurrile intercalare come "caxxo" (anche questo si può scrivere perché riguarda elementi e personaggi che si esprimono spesso così!!) ed io devo collaborare con una cultura che scalza codesti elementi e non invece giudicare chi cerca di portare in luce tali atteggiamenti provocatori e declassanti e pure denigranti. Questa relazione diventa un modello - nuovamente elaborato ed aggiornato di una situazione insolita- che mai e poi mai, e mai, e mai mi sarei sognato di vivere e che mi toglie da certe bende che mi mummificavano e mi rendevano mortificato dentro, che mi rendevano un impostore ed un ipocrita come quegli scribi a cui un giorno Gesù ha detto "Razza di vipere e sepolcri imbiancati" perché come me stavano facendo morire nell'agonia più assurda l'amore e lo seppellivano senza prevedere mai alcuna resurrezione. Faccio ammenda di ciò in codesto diario!"
IL GERARCA - Guardandosi intorno alla stanza dove si era rinchiuso per ripassare la sua parte attoriale politologica, si rivedeva in quel pubblico elettore. Dapprima c'era quel bambino timido sognante che rimaneva come estasiato da raggi radiosi di un utopia, poi c'era l'adolescente che si doveva confrontare con il disincanto della sfida dell'esperienza quotidiana ed infine c'era l'adulto che aveva a che fare con la complessità e la problematicità ed il relativo carico di cifre demoniache di nome azzardo, avventura, scacco, sconfitta e naufragio. Egli, per tale motivo, avrebbe tanto voluto attuare il compito di porsi a livello critico nell'argomentazione deduttiva, ponendosi un itinerario popolato di sintesi delle normative in cui era difficilissimo e alquanto complicato orientarsi per poter raggiungere dei risultati quanto meno decenti. Tuttavia, a livello organizzativo era molto complesso costruire forme di conciliazione/integrazione delle forme antinomic...
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